Come si diceva "incinta" nel mondo greco e romano? : breve storia di un termine fra pudicizia e scaramanzia

Un giorno, parlando con mia suocera, mi sono resa conto che lei non usava mai il termine “incinta” per indicare una donna prossima a diventare madre, ma sempre “in stato interessante”. Inizialmente per pura curiosità, mi sono documentata sui diversi modi di indicare la gravidanza non soltanto in italiano, ma anche nelle principali lingue europee, riscontrando che in tutte esistono circonlocuzioni per evitare di dire “incinta”, cioè per evitare di fare menzione “esplicita” della presenza del bambino all’interno del corpo della madre. Queste circonlocuzioni vengono di preferenza utilizzate da donne non più giovani. Lo scopo del presente contributo è indagare come si diceva “incinta” nel mondo greco e romano, mettendo in relazione lo studio linguistico con l’assenza di immagini di gravidanza e parto nell’arte classica. L’idea di fondo è che si evitasse di parlare e di raffigurare una fase così delicata della vita della donna sia per un generico sentimento di pudore sia per “scaramanzia” e per non essere vittime di malocchio da parte di donne invidiose.

In all the main European languages we can find circumlocutions to avoid saying “pregnant,” in order to avoid mentioning “explicitly” the presence of the child inside the mother's body. These circumlocutions are preferably used by elderly women. The purpose of this contribution is to investigate how Greeks and Romans used to say “pregnant,” and put the results in connection with the images of pregnancy and childbirth we have in classical art. My aim is to demonstrate that speaking and depicting such a delicate phase of the woman's life was avoided because of a generic sense of modesty, “superstition” and fear of evil eye.

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